Corso base di scrittura creativa - SECONDA LEZIONE
“ Prima
di scrivere, imparate a pensare.”
(Nicolas
Boileau)
Differenze fra romanzo e racconto.
Strutturazione di un racconto.
Nella prima lezione abbiamo fatto più volte riferimento al termine storia. Una parola che nello svolgersi di questo corso ti diventerà particolarmente familiare, anche perché sarà su di lei, sulla sua stesura, sulla sua correzione e sulla sua strutturazione che dovrai accentrare tutti i tuoi sforzi. Il primo passo verso la composizione di una storia è, ovviamente, avere un’idea che ci ronza per la testa, come abbiamo già accennato nella parte dedicata all’ispirazione. Quello successivo è mettere nero su bianco quel complicato, o banale, intreccio di immagini che si aggirano, libere come farfalle, nella nostra mente. E qui cominciamo ad affrontare una delle principali, ma non insuperabili, difficoltà del mestiere di scrivere: come si struttura una buona storia? Partiamo dal presupposto che il tuo intento di novello Dan Brown sia quello di cimentarti in un racconto breve. Per inciso, ci tengo a precisare che scrivere un racconto non è un compito meno arduo e meno complesso dello scrivere un romanzo. Il fine che lo scrittore deve raggiungere è il medesimo: comunicare. Il fatto che il romanzo sia più lungo e necessiti di accorgimenti tecnici diversi da quelli di uno scritto breve non ne aumenta le difficoltà, cambia semplicemente la prospettiva dell’autore e quella del lettore, ma la sostanza resta invariata. Anzi, ti dirò che molti critici (che per loro natura recensiscono ciò che non sono in grado di creare: che mestiere frustrante!) ritengono che sia molto più difficile scrivere una short story, per dirlo con un anglismo, che dare alle stampe un bel mattone di ottocento pagine. Questo perché nel racconto, a differenza che nel romanzo, lo scrittore deve avere la capacità di condensare in poche pagine qualcosa che abbia un senso, che racconti davvero un evento, un accadimento (fisico o psichico) e che lasci al lettore, nella migliore delle ipotesi, uno spunto su cui riflettere.
Prima di mettere mano alla penna o alla tastiera è necessario decidere, innanzitutto, “chi” sarà a narrare la tua storia. L’Io narrante o il narratore onnisciente di manzoniana memoria? In sostanza, come è meglio scrivere un racconto: usando la prima persona o la terza? La scelta è del tutto personale e condizionerà notevolmente l’impatto dello scritto sul lettore e le tue possibilità di creare intrecci narrativi.
- La prima persona è in un certo senso “naturale”, è vicina al modo colloquiale di parlare, più semplice ed immediata da gestire, specialmente per uno scrittore alle prime armi. Permette di inserire nel contesto del racconto i pensieri e le emozioni del protagonista in maniera spontanea, però non consente di descrivere con altrettanta naturalezza gli stati d’animo, le idee e le pulsioni degli altri “attori” della nostra storia, e non è così adatta a descrivere accadimenti che avvengono al di fuori del campo percettivo del nostro eroe.
- La terza persona richiede indubbiamente una buona padronanza della lingua e delle tecniche narrative, una maggiore attenzione ai tempi verbali ed ai costrutti lessicali, ma consente una visione d’insieme più ampia, permettendo di descrivere in maniera approfondita diversi personaggi (soprattutto a livello introspettivo), di raccontare situazioni spazio-temporali distanti o contemporanee, senza cambiare neppure paragrafo.
Decidere in quale modo scrivere la tua storia spetta solo a te. Ma una volta effettuata la scelta devi stare attento a restarle fedele!
Ma torniamo ad affrontare la spinosa questione della “struttura” di un racconto. Quando si scrive una storia che esiste solo nella nostra immaginazione, corriamo il rischio di dare per scontato che anche chi la legge sia a conoscenza delle sfumature, dei passaggi, degli intrecci che a noi sono fin troppo chiari. Ma la mente umana per perfetta, o perversa, che sia non è dotata del comodo dono della preveggenza o della telepatia, con buona pace dei ciarlatani in tv. Quindi, ciò che appare lapalissiano per un autore può sembrare nebuloso ed inconcludente, o peggio caotico, per l’ignaro lettore, che corre il rischio di non cogliere il significato di ciò che abbiamo scritto e di considerare la nostra opera alla stregua della carta morbida e candida che teniamo appesa vicino al sanitario della nostra stanza da bagno! Come evitare che ciò accada? Strutturando la nostra narrazione in sequenze logiche, lineari, concatenate e spiegando i passaggi che conducono i personaggi che popolano i nostri scritti alle azioni che gli faremo compiere. Procedendo con ordine, in maniera didattica ma spero non pedante, potremmo dividere la nostra storia in tre tempi sequenziali: l’incipit (o introduzione, o antefatto), un corpo (o svolgimento) ed una conclusione.
- L’incipit:
il buon incipit di una storia dovrebbe essere redatto in modo da attrarre l’attenzione di chi sta leggendo, dovrebbe dare delle informazioni, non troppo dettagliate, dell’argomento che andremo poi a spiegare nel corpo del nostro scritto e dovrebbe non cedere alla banalità, ma cominciare a sedurre il lettore invogliandolo a proseguire nella lettura del nostro scritto. Facciamo un piccolo esempio:
“Era una notte buia e tempestosa…”
E’ considerato, a ragione, l’incipit più banale, oserei dire stupido, della storia della narrativa gotica, tanto da divenire il tormentone preferito di Snoopy, il bracchetto inventato da Schultz, ogni volta che si siede sopra la sua cuccia di fronte alla macchina per scrivere. Evitare frasi fatte e stereotipi è uno dei migliori consigli che possa darti su come iniziare a scrivere una storia, qualunque essa sia, e qualunque cosa tu voglia raccontare.
L’inizio di una storia rappresenta una sorta di “biglietto da visita” che lo scrittore porge al lettore, è una porta che l’autore invita a varcare, e per essere certi che l’avventore entri nel nostro negozio, dobbiamo far sì che l’insegna al neon sopra la vetrina sia accattivante. Un incipit troppo stringato, sbrigativo, impersonale, farà calare sulla nostra storia una tetra aria di noia, mentre un inizio esageratamente prolisso, troppo circostanziato, che non lascia spazio all’immaginazione e a domande irrisolte, toglierà mordente e mistero al racconto. In medio stat virtus, come dicevano i latini. Un buon incipit deve svelare qualche dettaglio degli accadimenti che coinvolgeranno i nostri personaggi, deve cogliere un breve, ma significativo, attimo della nostra storia, deve fungere da buco della serratura e, attraverso quel foro, il lettore deve spiare incuriosito lo svolgersi degli eventi.
- Il corpo:
Il corpo del racconto dovrebbe contenere il grosso della storia, e comprendere la caratterizzazione dei personaggi che ne prendono parte e la descrizione dei luoghi in cui si svolgono gli eventi narrati. Una buona regola da seguire per rendere uno scritto intellegibile e godibile da parte del lettore (ricorda che è il suo giudizio insindacabile che decreterà la tua fortuna o la tua disfatta come scrittore) è quella di spiegare, in maniera non pedissequa e ridondante, lo svolgersi degli accadimenti, senza incorrere nella trappola del non detto, del sottointeso, dell’appena accennato che, sovente, lascia chi legge perplesso e lo costringe a ricostruire faticosamente le parti mancanti della storia, o a giustificare le azioni dei protagonisti terminando il lavoro che lo scrittore ha lasciato incompiuto. Il lettore deve essere condotto per mano fino alla fine del nostro racconto, percorrere al nostro fianco l’autostrada che abbiamo imboccato.
Altra buona regola per strutturare coerentemente una storia è quella di badare molto ai dettagli che andremo ad inserire nella narrazione. Ad esempio, se abbiamo scritto nell’introduzione che Gianni, il nostro protagonista, è figlio unico, badiamo bene a non farlo amabilmente chiacchierare con sua sorella una quarantina di righe dopo. Oppure, se abbiamo deciso che il nostro eroe lavora in un ufficio dalle pareti dipinte di un esaltante grigio topo, non ritinteggiamole di un gioioso giallo canarino qualche pagina più in là. Per non incorrere in questi errori potresti appuntarti a margine del tuo scritto tutti i dettagli che hai messo a punto nelle pagine precedenti e che ritorneranno in quelle successive, in modo da non imbatterti in spiacevoli, ed un po’ ridicole, contraddizioni che toglierebbero credibilità e spessore alla tua storia.
- Il finale:
Il finale di una storia dovrebbe essere il momento in cui lo scrittore, come un sapiente e paziente ragno, lega insieme i fili della sua tela allacciandoli saldamente uno all’altro. E’ il punto in cui si traggono le conclusioni, si ricuciono gli strappi, si sciolgono i misteri, si svelano gli intenti della nostra opera. Un buon finale dovrebbe contenere almeno un elemento di sorpresa, non essere eccessivamente prevedibile, essere conciso e mordente, ma non striminzito e raffazzonato. Quante volte ti è capitato di leggere un buon racconto, o un grande romanzo, che ti ha tenuto con il fiato sospeso, che ti ha fatto piangere o riflettere, che ti ha fatto sorridere o inorridire, e che terminava con un epilogo di quattro righe messe lì solo per onore di firma? Come se l’autore avesse avuto fretta di apporre in calce la parola fine, lasciando il lettore in balia di quello stupore aspro che suona un po’ come: è tutto qui? Un finale, come ti ho accennato poco prima, non deve essere eccessivamente prolisso, ma neppure stringato, deve accompagnare il lettore verso la porta d’uscita, deve salutarlo invitandolo a tornare.
Prima di concludere questo breve excursus sulla stesura di una storia, tentiamo di dare una risposta ad un quesito fondamentale: perché scrivere un racconto? Perché abbiamo un’idea che ci pare ottima, potrebbe essere una risposta. Perché ci va di farlo, ne è una ancora migliore. Ma non dimenticare mai che lo scopo fondamentale della scrittura è la comunicazione. Quindi fa’ che il tuo racconto lasci qualcosa nella mente, o nel cuore se preferisci, di chi lo legge. Fa’ che nasconda un messaggio, non importa se ironico, allucinato, graffiante, romantico, pieno di speranza, nichilista od orrorifico. Scrivi perché hai davvero voglia di raccontare una storia, rendila convincente e se vuoi basarti sulla tua vita e sulle tue esperienze personali, non indulgere troppo nell’autobiografismo fine a se stesso, ma reinventa e reinterpreta la tua vita in modo che la tua esperienza possa divenire il più universale possibile, perché la chiave per catturare l’attenzione dei lettori sta nella tua capacità di farli immedesimare in ciò che scrivi.
E dopo questa panoramica sull’arte dello scrivere, passiamo, nella prossima lezione, a qualcosa di più prosaico e cominciamo a vedere come si usa e come si gioca con il principale strumento a disposizione di ogni scrittore: le parole.








